Fondata come comune autonomo nel 1878 per volontà di Umberto I°, Delianuova nasce il 27 gennaio 1878 dall’unione dei due antichi comuni di Pedavoli e Paracorio, la cui fondazione si fa risalire al periodo delle incursioni saracene che spinsero molti abitanti a portarsi dalle coste verso zone più interne e più tranquille.
Di questi insediamenti si ha notizia sin dal lontano 1050, come testimoniano vari documenti dell’epoca, oggi custoditi presso l’archivio Vaticano.
Durante il basso medioevo Pedavoli e Paracorio furono casali di Santa Cristina, associati al feudo di Sinopoli all’epoca dominio dei Ruffo di Calabria fino alla fine del XV secolo. L’impianto urbanistico attuale è frutto della ricostruzione costante e tenace avvenuta dopo ben tre terremoti che in epoca moderna e contemporanea, fra il 1783 e il 1908 hanno distrutto il paese.
La sua posizione è molto panoramica: situata nell’alta valle del torrente Duverso, in una conca aperta a Sud verso la Piana di Gioia Tauro, è circondata da ulivi secolari, castagni e, dietro, dai sovrastanti “Piani di Carmelia”, un’oasi incontaminata dal cemento.
Numerosi, sono gli itinerari proposti dal C.A.I., tra boschi di faggi e di pini, piccoli fiumiciattoli, stupende cascate, tanto verde ed una fauna tipica, alcuni dei quali conducono al vicino Montalto, ove si trova la statua del Redentore, che ormai più di 100 anni fa fu portata fin lassù, a pezzi, proprio da Delianuova.
L’arte cestara
Tra le tradizioni millenarie della Calabria, un posto di rilievo senza ombra di dubbio spetta all’arte cestara, la capacità di intrecciare il legno per creare sporte, cesti e altri oggetti utili e decorativi.
Questa arte ha origini molto remote, si può addirittura datare grazie al rinvenimento di alcuni arcaici manufatti artigianali, al periodo dell’Età della Pietra.
Il territorio della Calabria, grazie alle sue importanti e variegate risorse naturali da sfruttare (paglia, salice, castagno, olivo, giunco, grano, palma) si è trovato sin dalle origini con i suoi artigiani impegnati a lavorare diversi tipi di materiale, raggiungendo la massima concentrazione sul finire del secolo scorso.
La tecnica dell’intreccio presuppone la trasformazione di varie piante e arbusti, molto flessibili, i cui rami spogliati dalla corteccia sono adoperati per la realizzazione di manufatti che fanno ricorso a veri e propri “segreti” di lavorazione tramandatisi nel tempo.
Tra le materie prime più usate, c’è il salice, da cui si ricava il vimine impiegato per la realizzazione di cesti, canestri di diverse forme, colori e disegni, a seconda della loro finalità, vari elementi di arredo e i famosi panàri adoperati per la raccolta di frutta e verdura. L
a canna, invece, tagliata a strisce si presta per la realizzazione di cesti e panieri e per la costruzione di stuoie (canìzzu) utilizzate per l’essiccamento di prodotti dell’alimentazione (fichi, pomodori, melanzane) o anche per conservare il pane.
Alcuni tipi di cesto in vimini, chiamati fìscine, molto più voluminosi e consistenti, anticamente erano impiegati per il trasporto con gli animali (asini e muli) di quanto si produceva nella campagna, ma soprattutto in occasione della vendemmia, per il trasporto dell’uva; mentre i còfini, contenitori alquanto voluminosi e più resistenti, ricavati dall’intreccio dei polloni di castagno, erano utilizzati per il trasporto di pietre.
L’intreccio del giunco per la realizzazione delle fiscèlle: tipici recipienti adatti a dare forma alle ricotte e ai formaggi in genere, poiché consentono la colatura, a volte utilizzate per servire direttamente il prodotto a tavola nei ristoranti tipici.
La varietà dei manufatti artigianali obbedisce storicamente ad alcuni fattori non trascurabili. Il primo, quello del contesto territoriale, ossia il luogo dove vegetano e si riproducono le piante fornitrici del materiale. Il secondo, riguarda le proprietà del materiale impiegato. Oggi, molta parte di questa antica produzione di manufatti può essere ammirata solo in alcuni musei etnografici e della civiltà contadina.
L’arte dei cestai in Calabria ebbe il suo periodo d’oro dopo l’unità d’Italia, quando i cestai iniziarono a viaggiare in tutta Italia per vendere i loro prodotti.
I cesti erano infatti molto richiesti per la conservazione e il trasporto di molti generi alimentari, come frutta, verdura, formaggi, salumi, pane e pasta. I cestai calabresi dimostrarono una grande capacità imprenditoriale e una notevole apertura mentale, arricchendo il loro territorio di origine con le esperienze acquisite altrove.
Con l’avvento della produzione industriale di contenitori in plastica e metallo, l’arte dei cestai in Calabria entrò in crisi, ma non scomparve del tutto. Alcune famiglie continuarono a tramandare questa tradizione da generazione in generazione, conservando gli utensili, i macchinari, i documenti e le fotografie che testimoniano la loro storia. Oggi, grazie al lavoro di associazioni culturali e pro loco, l’arte dei cestai in Calabria è ancora viva e valorizzata attraverso mostre, eventi e laboratori, testimonianza della creatività, dell’ingegno e della passione di un popolo che ha saputo adattarsi alle sfide del tempo, trasformando le risorse del territorio in opere d’arte.
PIETRA VERDE, VETRO E LEGNO
Delianuova è detto il ‘Paese della Pietra Verde’, anche denominata ‘Serpentino’ dagli abitanti del posto. Questa ‘pietra verde’ è stata estratta da una cava situata nei dintorni del paese (in località Cotripa) fino al 1933, ed è stata utilizzata per l’urbanistica. Tanto che esistono ben quindici portali, diverse scalinate, fontane, colonne e statue votive, tutte realizzate con la pietra verde. Da un punto di vista geologico, questa ‘Pietra Verde’ è una Serpentinite (laddove, il ‘Serpentino’ è il minerale costituente principale della roccia). Le serpentiniti sono rocce metamorfiche cioè rocce che erano primariamente magmatiche ma sono state in seguito sottoposte a temperature e pressioni diverse da quelle originarie, in modo da trasformarsi in qualcos’altro. Queste rocce erano in origine rocce provenienti dal mantello della Terra, costituite prevalentemente da olivina (un minerale verde) e pirosseno (un minerale scuro). Dopo essere state ritrasformate dal movimento delle placche tettoniche e dalla formazione delle montagne dell’Aspromonte, si sono trasformate in serpentiniti, e nel caso di Delianuova esse sono state utilizzate nell’urbanistica – uno dei pochissimi casi al mondo.
ENOGASTRONOMIA : IL TORRONE E IL DELIESE
Dal 1930 la famiglia Scutellà offre la possibilità di assaporare uno dei torroni più famosi e buoni del mondo. Una produzione artigianale che si tramanda di padre in figlio, da quando, cioè, don Rocco iniziò a produrlo mettendo insieme esclusivamente miele di zagara prodotto localmente e pura mandorla proveniente dalla vicina Sicilia, dopo ore ed ore di intenso lavoro.
Il risultato è il più buono tra i torroni, rinomato in tutto il mondo, sia nella sua versione semplice o ricoperto di cioccolato, nelle sue varie forme.
Altro tipico dolce che Rocco junior ha ereditato e sapientemente riproduce è la stracetta (termine usato per indicare pezzi di piccole pietre, gli straci).
Don Rocco chiamò così il dolce proprio per la sua apparente durezza ma, appena in bocca, essa diventa fragrante e piacevole al gusto.
Deliziosa se intinta in un bicchiere di buon vino locale.
Altro fiore all’occhiello dell’enogastronomia di Delianuova è un dolce tipico, il deliese appunto, nasce negli anni ’70, da due soffici savoiardi, tra i quali si interpone lo strato di una delicatissima crema. Quest’ultima è riproducibile mediante una segretissima ricetta, che i maestri pasticcieri del posto custodiscono gelosamente.
Al fine di donare ancora più sapore alla composizione, sulla superficie viene aggiunto un po’ di zucchero a velo con la caratteristica scritta “deliese”, da fare a mano con del cioccolato fondente.